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Quel che non si può negare è che Tameem Antoniades e il suo team abbiano un buon gusto per i nomi: Ninja Theory ha stile e pure quel tocco di divertito che non guasta. Certo, non raggiungerà gli apici di Just Add Monsters, etichetta con cui era stata fondata la software house prima di venire acquisita da Jez San, ma comunque… E comunque non è di certo lo stile e il buon gusto che mancano a Enslaved: Odyssey to the West, il gioco che ho scelto per cambiare rotta nel mio approccio con i videogiochi “moderni”. Rotta peraltro già messa in discussione da quella tempesta di amore scatenatasi nel weekend nei confronti di Fez, ma questa è un’altra storia.
La storia di Enslaved è invece ripresa e riadattata dal classico cinese di Wu Cheng’en, ma qui iniziamo con le citazioni e qui finiamo. A produrre e pubblicare il terzo titolo di Ninja Theory (prima: Kung Fu Chaos ed Heavenly Sword) c’ha pensato Namco Bandai, un altro di quei colossi scricchiolanti giapponesi
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Ieri ho iniziato a giocare a Enslaved: Journey to the West, ed è stato come alzare bandiera bianca. Non una resa sanguinosa però, se non per quel giusto tasso di delusione ormai ampiamente digerito nel tempo, attraverso un piccolo lutto vissuto in questi cinque sei sette anni di Xbox 360, ovvero di “next gen”. Che sì, certo, è l’attuale generazione. Per capirci occorre però un po’ di preambolo, niente di particolarmente lungo o intricato, giusto quel che serve per capire perché ieri ho idealmente sotterrato Pop’n Twinbee.
Come per la musica o il cinema, anche i videogiochi hanno i loro differenti modi di fare e di proporsi. Per quanto esistano, soprattutto nel primo caso, pubblicazioni dedicate all’heavy metal o all’hard rock, o al pop più mainstream, nel caso dei videogiochi le riviste (o, meglio, i magazine online) vengono generalmente intesi come capaci di rivolgersi a chiunque. Un limite, volendo, ma vabbé, è anche più che comprensibile. Eppure,
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Gioite, ingollatori di brioscine mezze salate e tutte francesi, adoratori dell’elettronica con la baguetta, stupefatti tifosi azzurri cantori della mamma di Zidane… Arkedo non è morta e se è morta, lo ha fatto solo per uno studio in prima persona dell’inferno, luogo destinato ad accogliere le matte-matte-matte scorribande del coniglio scheletrico di Hell Yeah!. Il punto esclamativo fa parte del titolo del gioco, sì.
Dopo aver dimostrato che uno sparatutto a base di pennino su Nintendo DS non solo era fattibile, ma era anche doveroso (Big Bang Mini, 2009), il minuscolo team francese si era dato alla sperimentazione, distribuendo attraverso le varie piattaforme digitali tre bon-bon di sicuro effetto: 01 Jump!, 02 Swap! e 03 Pixel!. Tutti amorevolmente recensiti, con brevità e pressapochismo, su questo blog. Epperò Camille e Aurélien poi erano scomparsi, salvo rifarsi vivi oggi, con l’annuncio di Hell Yeah! Wrath of the Dead Rabbit, il prossimo progetto
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C’è un tempo per tutto e quindi c’è anche stato un tempo per i giochi “di corse” (e non “di guida”) visti dall’alto, ben più tardi del debutto di Super Sprint peraltro. A 2012 inoltrato viene difficile anche credere che per cinque minuti, o un paio d’anni buoni, ci sia davvero stato un periodo in cui minuscole robette con le ruote, tutte prese a seguire improbabili modelli fisici, potessero rappresentare un trend. Eppure così è stato, anche e soprattutto per merito di Codemasters e del suo Micro Machines, una roba talmente europea e talmente personal computer che fare di più sarebbe stata dura. Merito di Codemasters almeno all’apparenza, perché dietro alle letali partite in multiplayer (con cartridge che ospitava due prese extra per i controller, nel caso dell’edizione Megadrive) si celava il nome di SuperSonic Software, etichetta dedita allo sviluppo nata nel 1989. E che otto anni dopo avrebbe scelto Mindscape per tornare ad allestire lo
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È successo: i generosi convenuti alla festa del trentaduesimo compleanno mi hanno regalato una PlayStation Vita. Con tanto di bigliettino “dato che sei scemo ti abbiamo vinto una Vita”, che ci ho messo tre letture a capire che intendessero. Ora non resta da fare altro se non aspettare che Amazon.it consegni l’accrocchio, che potrebbe succedere tra due giorni o un po’ più in là. Certo, tra due giorni sarebbe un po’ la vittoria dell’e-commercio, che ti fa arrivare il pacchettino gioioso giusto giusto in tempo per santificare la distribuzione ufficiale europea della console, ma anche fosse più in là cercherò di non farlo pesare troppo all’Audio Radar.
Nel frattempo posso sempre cercare di capire cosa prendere e cosa evitare, cosa giocare e cosa schifare. Tanta è la curiosità a riguardo, che ieri sera ho addirittura riacceso la vecchia PSP ed eseguito tutti e tre gli aggiornamenti di sistema che mi hanno poi permesso di lanciare
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