La lettura della prefazione e del primo capitolo di “Voglia di vincere”, però, è stata immediatamente e istintivamente accompagnata dalle note segnate a matita, una matita di quelle con mina clicchete e clacchete di Dragon Quest, eredità del mediocre viaggio a Tokyo del 2007. Così, per rimanere in tema col volume di Bissell. La mina di Square Enix mi è servita perché volevo, da bravo e lamentoso esponente del web, segnarmi qualche scivolone della traduzione di Stefano Formiconi. Poi pure qualche uscita discutibile dell’autore. Poi, soprattutto, quel che ci ho trovato di condivisibile o, ancora meglio, di interessante e inedito.
Tutta la pizza lì sopra per arrivare a dire che la prefazione di “Voglia di vincere” è già bella impestata di buche che mi hanno ampiamente infastidito, ma che non sono assolutamente riuscite a farmi smettere di leggere. Fondamentalmente perché Bissell si pone dei dubbi interessanti e rari, che poi inizia ad affrontare in maniera magari peculiare e di certo personale (d’altronde mette subito in chiaro a quale tipologia di giocatore appartiene, non ne fa di certo mistero), ma sempre e comunque con una buona dose di lucidità. Così, se mi viene un doppio scompenso di fronte alla coniugazione “da marciapiede” del congiuntivo in più di un passaggio (“…in queste pagine troverete le mie personali opinioni e pensieri su cosa i videogiochi significano per me, sul perché ci gioco e sulle domande che mi pongo quando lo faccio.” + “Potrebbero passare anni prima che qualcuno arrivi a capire davvero cosa sono i videogiochi…”) o all’utilizzo funkytarro di qualche termine facilmente sostituibile dal corrispettivo nostrano (“…e spero che questo libro potrà rappresentare per i gamer futuri…”), in maniera uguale e opposta c’è da appassionarsi ad altre righe. Quelle in cui, senza andare a scoperchiare chissà quale tomba, Bissell inizia a discutere della sua passione per i giochi free roaming e tratteggia le caratteristiche principali, o perlomeno degne di discussione, di alcuni celebri esponenti. “Oblivion, più che un gioco, è un mondo che gratifica soprattutto chi vi esercita una piena cittadinanza e io, per qualche tempo, ho vissuto nel suo mondo e quella cittadinanza l’ho rivendicata.” – pag. 17): non ho la fortuna (?) di appartenere al genere di gamer giocatore che riesce a farsi risucchiare in un mondo alternativo come quello dei GdR occidentali lastricati di “autostrade free roaming”, mi sembrano sempre e irrimediabilmente tutti dei disperati e ordinati ammassi di microcosmi popolati da stupidi robottini. La mia sospensione dell’incredulità mediamente dura dieci minuti, poi si passa alle risate, poi al fastidio, poi a cambiar gioco. Ma è in buona parte un limite mio e d’altronde sono secoli che non mi ci metto per davvero (a Skyrim sono durato anche meno di quei dieci minuti). Detto questo, la roba di Bissell riportata lì sopra è facile, essenziale ed efficace: al di là di tutto, è il senso di appartenenza che riesce a esercitare un universo parallelo, a trattenertici.
Mentre si diletta con un paio di uscite tutte matte (“Oblivion è satirico quanto una colonscopia…”, pag. 18, “Quello che mi imbarazzava di Oblivion non erano gli elfi, erano le stronzate.”, pag. 22), Bissell arriva al punto centrale del discorso allestito nel primo capitolo: “Non mi interessa stabilire se i videogiochi siano meglio o peggio dei film o dei romanzi o di qualsiasi altra forma d’intrattenimento. Ciò che mi interessa è quello che i videogiochi possono fare e quali emozioni mi suscitano mentre lo fanno. Confrontare i videogiochi con altre forme d’intrattenimento serve solo a ricordarci quello che non sono.”, pagina 24.
Certo, avremmo chiuso meglio se in mezzo non ci fossero stati un po’ di passaggi delicati e vaporosi quanto le mutande di Galeazzi… in più occasioni la scrittura si impantana, rivelandosi farraginosa e più indigesta di quanto non dovrebbe essere: colpa di Bissell o della traduzione? Mi pare più credibile la seconda ipotesi, considerate alcune costruzioni fin troppo rispettose dell’inglese e poco dell’italiano.
A presto (?) con la seconda puntata.
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