• Voglia di vincere #1

    Come in molte altre sventuratissime occasioni capitate giustamente tra testa e collo del blog, apro una nuova collana di post, tutta dedicata a “Voglia di vincere”, il saggio di Tom Bissell dedicato al mondo dei videogiochi e disponibile anche in Italia da poco più di un mese (ISBN Edizioni, € 19,90). L’idea iniziale era di leggerselo tutto e quindi sbrodolare i soliti diecimila caratteri (no, okei, la metà) di conclusioni concluse un po’ di fretta, perché la programmazione non è mai stata il mio forte (o meglio: sì, ma non quando scrivo) e alla fine lascio sempre fuori metà della roba che andrebbe detta. O che, perlomeno, ritengo andrebbe detta.

    La lettura della prefazione e del primo capitolo di “Voglia di vincere”, però, è stata immediatamente e istintivamente accompagnata dalle note segnate a matita, una matita di quelle con mina clicchete e clacchete di Dragon Quest, eredità del mediocre viaggio a Tokyo del 2007. Così, per rimanere in tema col volume di Bissell. La mina di Square Enix mi è servita perché volevo, da bravo e lamentoso esponente del web, segnarmi qualche scivolone della traduzione di Stefano Formiconi. Poi pure qualche uscita discutibile dell’autore. Poi, soprattutto, quel che ci ho trovato di condivisibile o, ancora meglio, di interessante e inedito.

    Per mia indole snob e pigra non sono solito leggere quel che la gente scrive sullo scrivere di videogiochi. In primis perché ho già speso un monte ore importante della mia vita a discuterne (monte ore che andrà arricchendosi settimana dopo settimana per molti anni ancora, probabilmente), secondariamente perché di solito si finisce sulla supercazzola estrema. Una lancinante rottura di palle, fondamentalmente. Si tratta, però, di un problema più tipicamente italiano, o almeno così mi è parso di intuire quando mi sono sciroppato con gusto i vari “The First Quarter” di Kent o “Game Over” di Sheff o i soliti “classici” insomma. Che non parlano propriamente di chi scrive di videogiochi, ma… be’ dovremmo esserci capiti.

    Tutta la pizza lì sopra per arrivare a dire che la prefazione di “Voglia di vincere” è già bella impestata di buche che mi hanno ampiamente infastidito, ma che non sono assolutamente riuscite a farmi smettere di leggere. Fondamentalmente perché Bissell si pone dei dubbi interessanti e rari, che poi inizia ad affrontare in maniera magari peculiare e di certo personale (d’altronde mette subito in chiaro a quale tipologia di giocatore appartiene, non ne fa di certo mistero), ma sempre e comunque con una buona dose di lucidità. Così, se mi viene un doppio scompenso di fronte alla coniugazione “da marciapiede” del congiuntivo in più di un passaggio (“…in queste pagine troverete le mie personali opinioni e pensieri su cosa i videogiochi significano per me, sul perché ci gioco e sulle domande che mi pongo quando lo faccio.” + “Potrebbero passare anni prima che qualcuno arrivi a capire davvero cosa sono i videogiochi…”) o all’utilizzo funkytarro di qualche termine facilmente sostituibile dal corrispettivo nostrano (“…e spero che questo libro potrà rappresentare per i gamer futuri…”), in maniera uguale e opposta c’è da appassionarsi ad altre righe. Quelle in cui, senza andare a scoperchiare chissà quale tomba, Bissell inizia a discutere della sua passione per i giochi free roaming e tratteggia le caratteristiche principali, o perlomeno degne di discussione, di alcuni celebri esponenti. “Oblivion, più che un gioco, è un mondo che gratifica soprattutto chi vi esercita una piena cittadinanza e io, per qualche tempo, ho vissuto nel suo mondo e quella cittadinanza l’ho rivendicata.” – pag. 17): non ho la fortuna (?) di appartenere al genere di gamer giocatore che riesce a farsi risucchiare in un mondo alternativo come quello dei GdR occidentali lastricati di “autostrade free roaming”, mi sembrano sempre e irrimediabilmente tutti dei disperati e ordinati ammassi di microcosmi popolati da stupidi robottini. La mia sospensione dell’incredulità mediamente dura dieci minuti, poi si passa alle risate, poi al fastidio, poi a cambiar gioco. Ma è in buona parte un limite mio e d’altronde sono secoli che non mi ci metto per davvero (a Skyrim sono durato anche meno di quei dieci minuti). Detto questo, la roba di Bissell riportata lì sopra è facile, essenziale ed efficace: al di là di tutto, è il senso di appartenenza che riesce a esercitare un universo parallelo, a trattenertici.

    Rimbalzando tra Oblivion e Fallout 3, l’autore coglie l’occasione per affrontare una questione cardinale dell’attuale produzione di videogiochi, in particolar modo di quelli di altissimo profilo (i cosiddetti “tripla A”): lo stile. “La direzione artistica di molti videogiochi ad alto budget ha il divertito parassitismo di una cover band. L’ispirazione visiva è pericolosamente scasa: le foreste sono sempre incantate come quelle di Tolkien; le zone industriali futuristiche sono labirinti di passerelle metalliche prevedibilmente a grate…”, scrive Bissell a pagina 18, per poi continuare: “Fallout 3 è un raro gioco ad alto budget la cui derivatività è un punto di partenza, non di arrivo.”
    Mentre si diletta con un paio di uscite tutte matte (“Oblivion è satirico quanto una colonscopia…”, pag. 18, “Quello che mi imbarazzava di Oblivion non erano gli elfi, erano le stronzate.”, pag. 22), Bissell arriva al punto centrale del discorso allestito nel primo capitolo: “Non mi interessa stabilire se i videogiochi siano meglio o peggio dei film o dei romanzi o di qualsiasi altra forma d’intrattenimento. Ciò che mi interessa è quello che i videogiochi possono fare e quali emozioni mi suscitano mentre lo fanno. Confrontare i videogiochi con altre forme d’intrattenimento serve solo a ricordarci quello che non sono.”, pagina 24.

    Certo, avremmo chiuso meglio se in mezzo non ci fossero stati un po’ di passaggi delicati e vaporosi quanto le mutande di Galeazzi… in più occasioni la scrittura si impantana, rivelandosi farraginosa e più indigesta di quanto non dovrebbe essere: colpa di Bissell o della traduzione? Mi pare più credibile la seconda ipotesi, considerate alcune costruzioni fin troppo rispettose dell’inglese e poco dell’italiano.

    A presto (?) con la seconda puntata.
    _
    6 Commenti
    1. Gargaros -
      Ah, che bello annotare sui libri con la matita di Dragon Quest. Col DD e gli ebook tutto ciò sparirà...

      Aspetto la seconda puntata.

      Ah, i traduttori italiani di oggi sono solo dei modesti lavoratori (per non dire mediocri).
      • Rispondi
    1. maxlee -
      Bello, bello, roba molto interessante. Sarei tentato di andare anch'io di supercazzola sulle questioni mettendo appunti sugli appunti, ma ho scassato il correttore ortografico automatico e sarei costretto a rileggermi, allora no.

      Solo questo: "Confrontare i videogiochi con altre forme d’intrattenimento serve solo a ricordarci quello che non sono." Frase finale ad effetto, però secondo me opposto all'intenzione (VG poracci). "…quelo che non sono le altre forme d'intrattenimento". Quante volte abbiamo pensato come sarebbe figherrimo avere il videogioco (partecipare a…) questo o quel film, serie tv, romanzo. Credo quasi sempre. Che finora i risultati lascino a desiderare beh è un'altra storia. In realtà non sono neanche tanto male (quando ho detto "neanche" chi ha pensato a Batman AA? … sicuramente coloro ai quali è piaciuto, sì). Le potenzialità dello strumento ci sono e anche i risultati, in questi ultimi anni passi avanti da molti punti di vista (e qualcuno indietro com'è normale che sia) magari non sempre ritrovabili nei tripla A; nel caso la colpa è di chi non scava andando oltre la superficie o non arriva in fondo (caso recente Binary Domain) o arriva al fondo sbagliato (ME3).

      Aspeto la seconda parte.
      • Rispondi
    1. -=NickZip=- -
      A me che invece i GdR occidentali piacciono molto, ma ormai non mi ci riesco più a dedicare per motivi di tempo, credo proprio che questo libro potrebbe interessare più di altri legati all'argomento videoludo... Grazie per la segnalazione ed attendo trepidante altre puntate.

      : col kindle, le note a margine in una pagina le puoi scrivere eccome.
      • Rispondi
    1. zave -
      (Pure con l'iPad eh, sia chiaro)
      • Rispondi
    1. Gargaros -
      Originariamente Scritto da -=NickZip=-
      : col kindle, le note a margine in una pagina le puoi scrivere eccome.
      Originariamente Scritto da zave
      (Pure con l'iPad eh, sia chiaro)
      Ma non è la stessa cosa
      • Rispondi
    1. Angel -
      “La direzione artistica di molti videogiochi ad alto budget ha il divertito parassitismo di una cover band. L’ispirazione visiva è pericolosamente scasa: le foreste sono sempre incantate come quelle di Tolkien; le zone industriali futuristiche sono labirinti di passerelle metalliche prevedibilmente a grate…”
      Amen. E qui entrano in scena i giochi low budget e indie, piu' genuini e spontanei.

      Originariamente Scritto da maxlee
      Che finora i risultati lascino a desiderare beh è un'altra storia. In realtà non sono neanche tanto male (quando ho detto "neanche" chi ha pensato a Batman AA? … sicuramente coloro ai quali è piaciuto, sì)
      Batman e' uno dei pochi pero', per il resto ci son tante cavolate create giusto per "facciamo il videogioco".

      Comunque la mia ignoranza si sente: non ho capito gli errori grammaticali.
      • Rispondi
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